Da autonomia arrangiata ad autonomia pensata

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Da autonomia arrangiata ad autonomia pensata

 

A volte si possono creare delle forma di autonomia del team che sul breve periodo sembrano funzionare ma poi diventano una bella gatta da pelare.

È il caso di un’imprenditrice che ho seguito tempo fa e che aveva dovuto delegare tantissimo al suo team per staccarsi quasi completamente dal lavoro e dedicarsi ad altre priorità per lei in quel momento.

Era, tra le altre cose, diventata mamma due volte nel giro di poco tempo.

Il suo team all’inizio aveva portato avanti il lavoro tra difficoltà varie ma lo aveva portato avanti.

In un certo senso avevano raggiunto una sorta di equilibrio, le incomprensioni si era momentaneamente spente e i problemi venivano gestiti come meglio potevano o ignorati totalmente.

Si erano arrangiati a fare senza di lei, senza la sua guida, e questo sembrò funzionare e tenne fino a quando non sopraggiunsero due nuove situazioni da affrontare: l’uscita dal team di due delle persone più esperte e preparate e un calo importante di fatturato.

Erano realmente autonomi? O si erano arrangiati per esserlo?

Senza la guida dell’imprenditrice i bisogni dell’azienda nel suo insieme erano stati sostituiti a poco poco da quelli individuali.

La logica che si era imposta era “mi facilito il più possibile il lavoro perché non posso permettermi di creare situazioni che non posso o non voglio gestire. Lei non c’è, noi ci organizziamo a modo nostro”.

Comprensibile certo, ma a farne le spese per primi sono stati i clienti che si sono trovati in un posto che a poco poco non riconoscevano più, un posto in cui le scelte sembravano non avere senso.

L’autonomia del team non è qualcosa che nasce spontaneamente, non va arrangiata.

L’autonomia del team va pensata, pianificata e riempita di senso, il senso che, l’imprenditrice o imprenditore che sia, vuole dare alla sua impresa.

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